News da Salerno

sabato 25 giugno 2011

Emozioni di viaggio a Pisciotta dove il Cilento sa di Grecia

di Giuseppe Liuccio
La macchina arranca tra tornanti ombreggiati nel regno dell'ulivo, che ha memoria di secoli e sa di Grecia.Sulle colline scoscese a conquista di battigia la brezza sbriglia, leggera, il bigio del fogliame. L'erba fresca di brina è tappeto verde con gli arabeschi giallognoli delle reti lasciate lì dal tempo della raccolta. I passeri in amore impazzano ebbri di luce e voli: Il tunnel verde mi accompagna per un chilometro con squarci improvvisi di azzurro su scaglie di mare fino all'apertura en plein air della strada che costeggia, ardita, il calanco a ferita di vallone, che scende dalle montagne di Mandia. E' il regno del finocchietto selvatico, della mentuccia spontanea, dell'agave che minaccia trafitture al cielo, della macchia di lentischi e mortelle, che ridono di sole nei fiori virginei, delle ginestre, che esplodono, vanitose, nella sensualità dell'oro effimero: I profumi della campagna, misti all'acre di iodio e sale a trasmigrazione delle onde, sono zaffate a recupero di infanzia lontana e stemperano, in parte, la indignazione per quella strada, eterna incompiuta, che penetra nel verde dei monti e, nelle intenzioni, dovrebbe bypassare la frana della costa. Ad una svolta l'insegna mi indica Rodio, sulla sinistra. Ci manco da un pò di anni, ma ho ricordo nitido di una limpida giornata autunnale con la strada ad arredo spontaneo di corbezzoli con le bacche mature, gocce di sangue nel verde lustro delle foglie, con i pettirossi a stormi in picchiata a caccia di cibo saporito, la minuscola piazza del borgo con il Palazzo Baronale, che fu proprietà dei Cavalieri di Malta, che furono prima di Rodi e che, forse, diedero il toponimo alla contrada. Sono sberleffi della storia quei mascheroni a fregio di dimora gentilizia. Ma che ci facevano da queste parti i Cavalieri di Malta? E' uno dei tanti misteri/interrogativi della storia cilentana. E' un tarlo di "curiositas" che mi perseguita man mano che la macchina caracolla giù per i tornanti per approdare a Pisciotta. Qui mi intriga, come sempre, quella scalinata a conquista di cielo di sagrato, dove riluce, nella gloria del sole, la facciata dell'imponente Parrocchiale.
Era di Pisciotta Giuseppe Pagano, che capeggiò la rivolta del 1848 e guidò le folte schiere dei rivoluzionari di tutto il circondario per seguire Costabile Carducci, cuore e mente del Risorgimento Cilentano. Un ricordo doveroso, prima che mente cuore ed anima si dilatino e si ubriachino di sole e mare dalla balconata del Palazzo Marchesale, che si spalanca su orizzonti di infinito. E nel dormiveglia da smemoramento faccio il pieno di emozioni in quell'ansa di mare che racconta, con la nenia della risacca, miti e leggende di amori contrastati tra ninfe e semidei, lacerazioni di partenze da emigrazione, ritorni per nostalgia d'amore. Il mio pellegrinaggio continua nel centro storico nel saliscendi di vicoli a ferita di case e palazzi gentilizi con aperture improvvise a squarci di mare fino alla piazzetta raccolta, che fu teatro di eventi letterari di respiro nazionale nel nome di Sandrino Pinto. Non mi sottraggo al richiamo dell'aria iodata e punto alla Marina, a perlustrazione di torri costiere o a respirare atmosfere d'altri tempi tra ruote, presse e "friscoli" del Frantoio Antico, monumento alla storia prestigiosa dell'olivicoltura del territorio, che è stato e resta regno della "pisciottana", appunto.Risalgo con nelle narici il pizzicore di iodio e sale  e negli occhi la visione di scenari di incanto. Poche centinaia di metri e mi si spalanca dinanzi il delirio di sole e mare di Palinuro con quel tozzo braccio di terra, che, balena spiaggiata, ammara con il carico di case ardite e vegetazione spontanea a dirupo di promontorio. A Caprioli il nocchiero di Enea dorme nel cenotafio di pietra sulla collina all'ombra degli ulivi. E mi risuona nella mente l'emistichio virgiliano a memoria dei lontani anni della scuola: "Aeternumque locus nomen Palinuri habebit..."

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